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giovedì 17 novembre 2016

Signore e signori, Walter Dang








Poco prima dell’evento “YOU Hair & Beauty Show 2016” che si terrà domenica 20 e lunedì 21 novembre al Pala Alpitour di Torino, Moda in Turin ha intervistato Walter Dang, stilista di punta della passata Torino Fashion Week e primo stilista a sfilare domenica:

         Come si definirebbe Walter Dang?



Un sognatore, un nostalgico, sogno sempre delle epoche o  dei luoghi mitici.

Vivo la mia moda imponendo le mie scelte senza concessioni, in un momento un po' turbato e approssimativo del gusto e del disgusto, il che vuol dire che andrò sempre più verso il classico, intramontabile e con un stile sempre più forte.

         Perché tra tutte le città alternative a Parigi ha scelto Torino?

Perché Torino ha un’identità forte, dove la moda ha anche un suo regno.

         Cos’ha di particolare la donna torinese?

Amo dire che la donna Torinese è come la città: appassionante, timida, estroversa, sicura del suo valore e della sua identità.

Trovo in lei l’eleganza dei gesti, del comportamento, della sua attitudine… forse perché l'eleganza Torinese è il contrario dell'eccesso: " less is more "

         Cosa l’ha spinta a disegnare abiti da sposa?

Ogni stilista ama realizzare abiti da sposa, penso che sia come  ideare abiti da sera.

Mi fa sentire quello che sono: un Couturier visionario. Stravolgo tutti i codici della sartoria rispettando sempre il procedimento del montaggio dell'abito: un abito da sposa ha il dono della luce e della festa. 

Io utilizzo dei materiali come la seta selvatica che cade in una maniera tutta sua, caratteristica, ed è perfetta per dare i volumi rimanendo leggera, il devoré... ma il mio tessuto preferito resta sempre lo chiffon. 

         Che donna è la sposa di Walter Dang, e quale donna invece non potrebbe mai indossare un suo abito?

La sposa Walter Dang è una donna decisa e con molta personalità, che ha voglia di indossare qualcosa di unico in uno dei giorni più importanti della sua vita.

         Che caratteristiche deve avere un tessuto, e chi deve lavorarlo, per diventare un abito del suo atelier?

La leggerezza!, mi diverto a pesare i vestiti: questa primavera ho realizzato un abito di stile imperiale utilizzando 42 m di chiffon per renderlo non trasparente.

Con i suoi 18 grammi al metro l’abito pesa solo 756 grammi, il filo di seta ha aumentato il peso di 112 grammi.

È molto importante la leggerezza dell'abito.

Per diventare un abito “Walter Dang”, quel tessuto dev’essere lavorato dai miei collaboratori, che devono avere le  mie stesse sensibilità, le mie conoscenze e il gusto di avventurarsi in nuovi codici sartoriali.

         Come si pone davanti alla concorrenza delle catene di abbigliamento a basso costo, quali sono i principi sui quali non è disposto ad ammettere deroghe, pur tenendo conto del mercato?

Rispondo semplicemente essendo sempre diverso. 

         La sua partecipazione in qualità di stilista di punta alla Torino Fashion Week è stata un innegabile successo; com’è nata l’idea di partecipare alla manifestazione? Si aspettava un tale successo di pubblico?

Sono stato invitato e ho accettato l'invito prendendolo come un grande complimento e ringraziamento da diverse istituzioni per la mia partecipazione creativa della nostra città.

Certo non avevo nessun dubbio del suo successo e come in tutte le settimane della moda abbiamo visto cose che ci sono piaciute e altre meno.

Lasciatemi fare un grande complimento agli organizzatori che hanno creduto in questo progetto. 

         Possiamo sperare di rivedere Walter Dang sfilare a giugno 2017?

… perché no?


Oltre all’evento al Pala Alpitour, Walter Dang sfilerà anche domenica 27 novembre in occasione dell’eventoMerveilles d’Hiver”, a Palazzo Costa Carrù della Trinità, in Torino.

Noi siamo curiosissime… e voi?


La foto degli abiti da sposa sono tratte dal sito dello stilista.

venerdì 28 ottobre 2016

Marika Guida e il packaging per la persona



La definizione di abito che non ti aspetti e che racconta, quasi da sola, tutta la storia di una stilista. “Un abito, sai, se ci pensi bene, è poi un packaging: un packaging per una persona”.



Marika Guida scherza così sul suo modo di vedere il suo lavoro. Dieci anni nella pubblicità, molti altri nella scenografia, a disegnare scatole per i prodotti e scatole per gli attori non passano senza lasciare traccia. La traccia è questa: comunicare è un gioco molto serio e modulabile. Pensare ad un abito come ad un packaging, che non solo contiene, ma ‘rivela’ la persona che c’è dentro, con tutto il suo contorno.

Marika Guida
L'attività di Marika nasce nel suo atelier di via Saluzzo, sull’angolo con corso Marconi. “Lavoro qui, qui penso e realizzo: è il mio mondo, ed è bello perché finalmente mi sento quieta. Sono esattamente dove voglio essere, faccio esattamente quello che voglio fare”.


Un piccolo mondo, ma una grande conquista. “Ho fatto moltissimo, prima di sbarcare qui. Ho mantenuto i miei studi, ripresi da zero a 21 anni, lavorando inizialmente nei locali, la sera, poi sempre più in ambito creativo che presto prese il sopravvento, prima in pittura e decorazione poi in pubblicità, ho fatto l'art per 10 anni, intanto mi 'regalai' gli studi all’accademia di Belle Arti di Torino, ho lavorato in scenografia e nel reparto costumi per fiction televisive, ma soprattutto nei momenti di "magra" non sono mai stata ferma, cimentandomi anche in professioni lontane dalla mia, momenti altamente formativi, che alimentavano la mia determinazione a uscirne prima possibile– racconta sorridente -. Come il periodo delle bancarelle e dei mercati: una grandissima risorsa, ma anche un girone infernale: producevo in casa, invaso il salotto di materiale lavorato e non, senza parlare della vendita, ore e ore al freddo o a al caldo, il trasporto, l'allestimento e il ritiro, di fronte a persone che in genere non sanno o non tengono conto di quanto avvenuto dietro al capo che desiderano ma su cui spesso 'ci devono pensare' insomma uno sbattone enorme. Poi, finalmente, la svolta.

L'atelier di via Saluzzo



L'atelier di via Saluzzo


“Era il 2011: ho trovato questo posto, l’ho riconosciuto subito. Era il mio posto. Ed ora, sono libera”.


Libera di creare,
di ricercare, di sperimentare, di gioire, di fallire o di vincere. “Le mie linee nascono dalla sperimentazione – spiega -. Avere un negozio su strada aiuta anche a testare sul pubblico quello che fai, a capire se funziona oppure no. Le mie linee nascono così: spesso provo direttamente su tela e poi se è il caso faccio il cartamodello per ripeterlo”.




La ricerca passa anche attraverso i tessuti. “Sono torinese, mi piace lavorare il più possibile con materiali non solo italiani, ma a chilometro zero. Eppure, da qualche tempo, mi sono aperta al mondo – dice -: le aziende italiane hanno spesso dei minimi d'ordine troppo alti per un'artigiana e poi mischiare e contaminare le culture mi diverte molto”. Marika lavora anche sui tessuti da uomo "perché è un po' come appropriarsi di qualcosa di prettamente maschile, con tutta una serie di peculiarità annesse, ma trasformandola a proprio vantaggio, attraverso la femminilità del taglio. Faccio mini-collezioni – spiega- basate anche sui miei innamoramenti temporanei, un tessuto, un periodo, un concetto, un colore, un dettaglio... tenendo sempre ben presenti però le principali qualità indispensabili di un mio capo: in primis la sfruttabilità, (in verticale attraverso le fasi della giornata e in orizzontale attraverso le fasi delle stagioni), l'originalità e la facilità di cura. Anche il lavoro di sovrapposizione e di draping assumono una diversa connotazione con l'uso di certi tessuti ”.



Dal suo mondo di via Saluzzo passano le più svariate figure professionali e talenti di ogni genere(uno dei suoi clienti è Arturo Brachetti) e passano progetti e suggestioni. La domanda sui progetti per il futuro viene accolta con un sorriso: “Il mio futuro è adesso – dice -. Mi piacerebbe sbarcare negli Usa, dove anni fa mi ero affacciata anche con buon esito ma non mi sentii pronta e rinunciai. Oggi ho le idee molto più chiare, so che voglio e posso farlo anche da qui; so anche che se non andasse in porto, ho già quello che cerco, avrò semmai lavorato a vantaggio della mia crescita, che non fa mai male.


Il mondo, visto dalla sua boutique artigiana, non è poi così lontano   

Marika Guida e il packaging per la persona



La definizione di abito che non ti aspetti e che racconta, quasi da sola, tutta la storia di una stilista. “Un abito, sai, se ci pensi bene, è poi un packaging: un packaging per una persona”.



Marika Guida scherza così sul suo modo di vedere il suo lavoro. Dieci anni nella pubblicità, molti altri nella scenografia, a disegnare scatole per i prodotti e scatole per gli attori non passano senza lasciare traccia. La traccia è questa: comunicare è un gioco molto serio e modulabile. Pensare ad un abito come ad un packaging, che non solo contiene, ma ‘rivela’ la persona che c’è dentro, con tutto il suo contorno.

Marika Guida
L'attività di Marika nasce nel suo atelier di via Saluzzo, sull’angolo con corso Marconi. “Lavoro qui, qui penso e realizzo: è il mio mondo, ed è bello perché finalmente mi sento quieta. Sono esattamente dove voglio essere, faccio esattamente quello che voglio fare”.


Un piccolo mondo, ma una grande conquista. “Ho fatto moltissimo, prima di sbarcare qui. Ho mantenuto i miei studi, ripresi da zero a 21 anni, lavorando inizialmente nei locali, la sera, poi sempre più in ambito creativo che presto prese il sopravvento, prima in pittura e decorazione poi in pubblicità, ho fatto l'art per 10 anni, intanto mi 'regalai' gli studi all’accademia di Belle Arti di Torino, ho lavorato in scenografia e nel reparto costumi per fiction televisive, ma soprattutto nei momenti di "magra" non sono mai stata ferma, cimentandomi anche in professioni lontane dalla mia, momenti altamente formativi, che alimentavano la mia determinazione a uscirne prima possibile– racconta sorridente -. Come il periodo delle bancarelle e dei mercati: una grandissima risorsa, ma anche un girone infernale: producevo in casa, invaso il salotto di materiale lavorato e non, senza parlare della vendita, ore e ore al freddo o a al caldo, il trasporto, l'allestimento e il ritiro, di fronte a persone che in genere non sanno o non tengono conto di quanto avvenuto dietro al capo che desiderano ma su cui spesso 'ci devono pensare' insomma uno sbattone enorme. Poi, finalmente, la svolta.

L'atelier di via Saluzzo



L'atelier di via Saluzzo


“Era il 2011: ho trovato questo posto, l’ho riconosciuto subito. Era il mio posto. Ed ora, sono libera”.


Libera di creare,
di ricercare, di sperimentare, di gioire, di fallire o di vincere. “Le mie linee nascono dalla sperimentazione – spiega -. Avere un negozio su strada aiuta anche a testare sul pubblico quello che fai, a capire se funziona oppure no. Le mie linee nascono così: spesso provo direttamente su tela e poi se è il caso faccio il cartamodello per ripeterlo”.



La ricerca passa anche attraverso i tessuti. “Sono torinese, mi piace lavorare il più possibile con materiali non solo italiani, ma a chilometro zero. Eppure, da qualche tempo, mi sono aperta al mondo – dice -: le aziende italiane hanno spesso dei minimi d'ordine troppo alti per un'artigiana e poi mischiare e contaminare le culture mi diverte molto”. Marika lavora anche sui tessuti da uomo "perché è un po' come appropriarsi di qualcosa di prettamente maschile, con tutta una serie di peculiarità annesse, ma trasformandola a proprio vantaggio, attraverso la femminilità del taglio. Faccio mini-collezioni – spiega- basate anche sui miei innamoramenti temporanei, un tessuto, un periodo, un concetto, un colore, un dettaglio... tenendo sempre ben presenti però le principali qualità indispensabili di un mio capo: in primis la sfruttabilità, (in verticale attraverso le fasi della giornata e in orizzontale attraverso le fasi delle stagioni), l'originalità e la facilità di cura. Anche il lavoro di sovrapposizione e di draping assumono una diversa connotazione con l'uso di certi tessuti ”.



Dal suo mondo di via Saluzzo passano le più svariate figure professionali e talenti di ogni genere(uno dei suoi clienti è Arturo Brachetti) e passano progetti e suggestioni. La domanda sui progetti per il futuro viene accolta con un sorriso: “Il mio futuro è adesso – dice -. Mi piacerebbe sbarcare negli Usa, dove anni fa mi ero affacciata anche con buon esito ma non mi sentii pronta e rinunciai. Oggi ho le idee molto più chiare, so che voglio e posso farlo anche da qui; so anche che se non andasse in porto, ho già quello che cerco, avrò semmai lavorato a vantaggio della mia crescita, che non fa mai male.


Il mondo, visto dalla sua boutique artigiana, non è poi così lontano   

giovedì 22 settembre 2016

Feeling with Feelomena

Quando suoni alla porta di Filomena Saltarelli ti apre una ragazza minuta e gentile, occhi grandi e capelli cortissimi.

Ecco, già quei capelli cortissimi dovrebbero dirti una cosa: stai attento, Filomena è una tipa decisa.Sognante, idealista, ma decisissima. Del resto, lavorare a Torino ma vendere a New York, Los Angeles, Europa e Paesi Arabi non può essere un caso.


Filomena è la mano, il cervello ed il cuore di Feelomena, che abbiamo visto sfilare alla Torino Fashion Week quest'estate.














Le chiedo subito come abbia cominciato:
- Volevo disegnare moda. Non per seguire la moda, ma per disegnare qualcosa di "mio": comprensibilmente, i miei genitori non si sentivano di mandarmi a studiare altrove, ero così giovane!, quindi mi iscrissi e studiai qui allo IED di Torino.
Una volta concluso il ciclo di studi, una volta cresciuta, volai in Belgio, Anversa è diventata la mia seconda città... ci ho vissuto per anni, studiando e lavorando, ancora oggi torno volentierissimo, anzi... sono di nuovo in partenza.








Poi sei tornata, però.
- Sì, poi sono tornata perché alla fine, quando sogni un prodotto di qualità, devi conoscere il tessuto, devi riuscire a parlare del tessuto che vuoi, di come lo vuoi, di come vuoi che vengano lavorati i tuoi capi... lavorare nella tua lingua ti dà la possibilità di esprimere anche a parole i concetti che altrimenti dovresti elaborare in un idioma diverso, senza essere troppo certa del risultato.
E poi...




E poi?
- E poi ho scoperto che grazie ad Internet si lavora benissimo anche qui, a casa mia, vicino agli affetti che hanno sempre creduto in me e mi hanno sostenuta, e dove sono cresciuta. Attraverso il mio sito online anche la signora di New York riesce ad indossare la mia collezione, così ho deciso di stabilirmi qui... che bisogno c'è di stare all'ombra del Duomo per fare la propria moda?



Certo, vendere a New York dev'essere una bella soddisfazione...

- La soddisfazione più grande è constatare che qualcuno "capisce" il lavoro che c'è dietro; una volta in una boutique di Roma mi si mosse una critica che io ritengo assolutamente un complimento: "tutta la cura che c'è dietro non si vede dal sito, i tuoi lavori sono perfetti nel taglio e nelle rifiniture". Questo per me fu il segno, positivo, che non tutti vivono di effimero e di esteriore, ma qualcuno ancora guarda alla cura del prodotto.




Ecco, parliamo del tuo prodotto
- Io mi occupo del design e del modellaggio, mentre la sartoria vera e propria è affidata ad un laboratorio che ho cercato e controllato personalmente. Ci vuole una certa etica nel nostro lavoro, sarò fissata ma pensare di produrre capi in serie con tessuti di scarso valore intrinseco, o con una manodopera non adeguatamente formata, o ancora non correttamente remunerata in termini economici e di garanzie non fa per me.



Prossimi passi?
- Prima di tutto riuscire a gestire tutta la parte amministrativa, il sito online, la comunicazione... io sono un'anima creativa, certe dinamiche ancora mi sfuggono perché quello che amo di più è proprio la nascita della mia idea e la sua realizzazione. Poi, certamente, arriverò ancora più preparata e determinata alla prossima Fashion Week, che è stata un'avventura pionieristica ma d'obbligo per Torino; la nostra città è stata per anni la casa della Moda ed ha tutte le caratteristiche per ospitare la settimana della moda come altre città: logistica, creatività, unicità e design sono i suoi punti forti, e vanno messi in mostra.